martedì 7 marzo 2023

Fede: tra il dionisiaco e l'apollineo

"La mancanza di Fede è sempre il male. [...] Satana in noi è il dubbio, e il dubbio finisce in disperazione. [...] La Fede è il grande esorcismo, e anche la prima virtù." (1)

Al giorno d'oggi non è frequente constatare toni così duri, ma comunque vi sono molti teologi che tutt'ora si impegnano a spiegare quanto sia giusto, importante e soprattutto utile credere indefessamente. Questi si accaniscono infatti nell'esaltare la Fede quale fonte di gioia e forza per la vita di tutti i giorni.

Ammettendo che ciò possa essere vero, non vi è però la prova che la Fede sia riposta in qualcosa di vero. Infatti, qualcosa di utile non è necessariamente anche vero, o meglio, affermare che l'idea di Dio sia utile non implica che un essere divino realmente esista. In fondo, che la religione possa essere utile è affermato serenamente da molti filosofi atei, l'esistenzialista Sartre per fare un esempio.

Quindi, il teologo che si impegna a dimostrare la fondatezza della sua Fede basandosi sul fatto che aiuti a vivere e criticando contestualmente la società moderna perché debole e "costruita sulla sabbia" sta magari operando bene come pastore ma non come pensatore razionale. Infatti, la ragione che usa è di tipo dionisiaco, perché non cerca necessariamente il vero, bensì ciò che è utile alla vita fatta di carne e sangue com'è quella umana. 
In questo caso la Verità è oggetto di quella stessa Fede che ci si impegna a difendere e pertanto non può che perdersi e mischiarsi in essa, rendendo quindi impossibile discernere oggettivamente ciò che richiede la sola ragione da ciò che invece ha bisogno dell'intelletto assieme alla Fede.

Le considerazioni fatte fin qui comportano che l'ateo, mostrando rimostranze in un modello etico che pone la Fede come discrimine per l'accesso alla vita eterna, non ragiona mosso dall'utilità personale, bensì da un principio di giustizia e compassione verso i propri simili. In questo caso, la domanda fondamentale non è "che cosa devo fare per andare in paradiso?" bensì "qual è la legge giusta che metta i buoni in paradiso e i cattivi all'inferno?".
Considerando poi che l'essere giusto è una caratteristica normalmente attribuita a Dio, nel chiedersi se la sua legge sia giusta o meno si sta indirettamente ragionando sul fatto che Dio esista o meno.

La consapevolezza di queste differenze nel ragionare può quindi configurarsi come una delle critiche più basilari alla religione in quanto non si occupa di singoli e specifici assunti di Fede, ma del metodo in generale. I teologi parlano infatti di verità e di sapere ma rivolgendosi sempre e necessariamente ai credenti, poiché aprirsi ad una platea di interlocutori più ampia farebbe venire meno i presupposti minimi per poter accogliere le verità religiose enunciate.

I credenti desiderano infatti la verità non per un puro desiderio di conoscenza ma piuttosto per un senso di inadeguatezza e insufficienza che proverebbero sentendosi in balia delle onde del dubbio. Questo porta spesso a perdersi nelle più comuni fallacie logiche come l'applicare due pesi e due misure; facendosi quindi bastare un argomento a favore della propria religione ma contemporaneamente soprassedendo sui legittimi dubbi e ragionamenti degli atei.

Ciò non vuole per forza essere un attacco ai credenti o alla religione in quanto tale, ma piuttosto un monito per tutti coloro che con leggerezza proclamano che la loro Fede non precluda ma anzi si fondi sulla Ragione, evidentemente ignorando in buona o cattiva fede che la razionalità richiede che si seguano delle regole non interpretabili e/o eludibili a seconda delle circostanze e dei propri interessi personali.


il Cercatore di Senso

(1) Diario intimo, Henri-Frédéric Amiel