lunedì 21 novembre 2022

Fides et Ratio: l'eterna contesa

Ragione e Fede possono coesistere all'interno di una stessa persona? Domanda inserita all'interno del più esteso dibattito tra Scienza e Fede, tutt'ora sulla cresta dell'onda.

La questione è sentita sin dagli albori dell'apologetica cristiana e non è mai stata completamente archiviata, il che in realtà non dovrebbe sorprendere perché questo è un esempio emblematico di quei casi in cui ambo i contendenti pensano di avere la vittoria in pugno nonostante la discussione sia ancora lungi dall'essere risolta.

Volendo scrivere un saggio riguardo il tema in questione si potrebbe cominciare proponendo una sintetica storia dell'andamento di questo eterno conflitto, così da introdurre i vari pensatori e intellettuali che vi hanno preso parte. Qui si decide invece di rompere il ghiaccio in maniera fragorosa, con una domanda capace di giungere subito al punto della questione. Infatti, la logica, seppur a volte complessa e apparentemente disorientante, è capace di mostrare subito gli aspetti più rilevanti su cui concentrare gli sforzi intellettuali. la domanda è la seguente:

Dio è onnipotente?

Potrebbe sembrare una domanda inutile o quantomeno fuori tema, infatti per dogma di qualunque confessione cristiana, Dio è onnipotente ed è forse questa sua caratteristica la più evidente distinzione tra Lui e l'Umanità. Eppure, non basta affermare l'onnipotenza divina perché questa esista davvero, bisogna provarlo razionalmente. Così, senza rendersene conto, si è già arrivati ad un primo traguardo importante: se il fedele non è disposto a tentare tale impresa intellettuale, allora ha già implicitamente preso posizione riguardo al dilemma in oggetto. Infatti, non tentare di ragionare sulla questione equivale ad affermare che la Ragione non ha nulla a che fare la Fede, ergo la Fede è irrazionale.

A meno che non ci si voglia già fermare si provi ad andare oltre, ponendosi un'ulteriore domanda collegata alla precedente: 

Se Dio è onnipotente perché esiste tutto quell'insieme di fatiche e dolori che portano gli uomini di tutte le culture a lamentarsi e talvolta bestemmiare?

Anche in questo caso la domanda sembra non c'entrare direttamente con l'oggetto del contendere ma cionondimeno si prova a trovarle una risposta. Il cristiano potrebbe quindi dire: "Dio permette tutto questo perché l'uomo possa imparare e apprendere. Inoltre, il dolore è spesso capace di unire le persone grazie alla compassione che può scaturire".

Così facendo si ha già raggiunto un altro punto rilevante attinente il dilemma Fede e Ragione. Un ateo potrebbe infatti domandarsi perché un dio onnipotente debba usare un metodo tanto angusto per insegnare qualcosa ai suoi figli. Vero che anche un padre umano a volte deve ricorrere alle percosse (meglio se non fisiche) per insegnare qualcosa ai suoi figli ma per l'appunto l'uomo non è onnipotente, quindi perché Dio non schiocca semplicemente le dita e come d'incanto ci insegna tutto quello che abbiamo bisogno per essere pronti al suo regno celeste?

A questo punto subito il credente, sicuro della risposta, probabilmente direbbe: "eh no, così non vale! Ogni uomo deve compiere un suo personale percorso di redenzione, non può essere Dio a far tutto, a maggior ragione considerando il peccato che ognuno di noi si porta con sé. Inoltre, l'uomo è libero di scegliere e Dio rispetta questa sua scelta!".

Al che, l'ateo, similmente a quanto fatto prima, potrebbe replicare: "E allora perché Dio non schiocca le dita rendendo l'uomo come per magia conforme alla sua volontà così che non ci sia bisogno di alcun percorso di redenzione?".

E di nuovo il credente: "non è una soluzione fattibile perché la libertà dell'uomo è sacra!".

Qui sembrerebbe di essere arrivati ad un punto di non ritorno in quanto sia l'ateo che il credente potrebbero continuare a rispondere sempre alla stessa maniera, nonostante che per il credente la sua parrebbe una risposta definitiva: infatti, Dio, pur essendo onnipotente, non vuole forzare l'uomo ma rispettarlo e quindi piuttosto che crearlo buono preferisce sacrificarsi per lui donandogli al contempo la possibilità di arrivare alla bontà in autonomia, sempre però sotto la sua attenta guida. In questo senso si potrebbe aver trovato un'ottima ragione in quanto Dio parrebbe quasi un filosofo socratico, attento ad utilizzare il metodo maieutico con i suoi discepoli, aiutandoli quindi a scavare all'interno di sé stessi e permettendogli così di trovare una verità maggiore, senza calarla loro dall'alto.

In effetti questa risposta è piuttosto interessante ma purtroppo non è risolutiva così come appare. Infatti, il logico, non soddisfatto, potrebbe porre un'ulteriore domanda: 

"perché Dio deve sottostare alla scelta se lasciare l'uomo libero ma sofferente oppure renderlo perfetto e senza dolori ma schiavo della sua perfezione e quindi incapace di evolvere, capire e scegliere da sé?". 

Se a questo punto il credente pensasse di poter rispondere alla solita maniera riferendosi al rispetto la libertà umana dimostrerebbe di non aver colto il significato profondo della domanda. Questa, espressa in tale maniera, vuole infatti evidenziare come Dio non dovrebbe sottostare ai vincoli di questo mondo e alle eventuali contraddizioni presenti in esso. Dovrebbe poter andar oltre, creando dal nulla ciò che vuole (da ricordare che il dio cristiano non equivale al demiurgo platonico), logica compresa.

Infatti, il carattere della bontà divina dovrebbe garantire che Dio voglia il bene per l'uomo, mentre l'onnipotenza dovrebbe per l'appunto donargLi la possibilità di tramutare qualunque Sua volontà in realtà, facendo quindi coincidere la Sua immaginazione con il mondo stesso. 

Il percorso di domande precedentemente intrapreso è quindi di fatto fuorviante perché ragiona su Dio a partire da questo mondo, ma come precedentemente argomentato, dal punto di vista di un dio onnipotente ciò non ha senso.

Arrivati qui, sia l'ateo che il credente potrebbero sentirsi un po' confusi e in difetto nel cercare di entrare e capire la mente di Dio ma il punto è proprio questo: 

la Ragione è necessaria alla Fede?

o similmente:

ha senso ragionare su Dio e la Fede?

Se non si è nemmeno disponibili a farsi queste domande perché si ritiene che la Fede non debba sottostare alla Ragione allora si sta di nuovo implicitamente affermando che Fede e Ragione sono su due piani diversi, ergo la Fede è irrazionale. Tale conclusione non è tra l'altro neppure estranea al pensiero cristiano, in quanto molti credenti (Tertulliano e Kierkegaard tra i maggiori) hanno affermato il senso delle seguenti parole: "credo quia absurdum" (io credo perché è assurdo). Da notare però come la Chiesa Cattolica e in generale la Teologia (Sant'Anselmo, Sant'Agostino e San Tommaso soprattutto) abbiano sempre cercato di muoversi in maniera opposta, sintetizzando: "intelligo, ut credam" (capisco per credere).

Quindi fintanto che si crede senza essere riusciti a rispondere alla domanda precedentemente posta (e tante altre simili) significa che si sta credendo senza le fondamenta di un discorso realmente razionale e pertanto si dovrà momentaneamente accettare di essere giudicati come un credente prevalentemente irrazionale, senza per questo sentirsi offeso. In fondo, sin dagli albori della filosofia si ha un contrasto netto tra il mondo dei sensi e quello della mente, basti pensare a Parmenide, Eraclito e a tutti i filosofi che durante e dopo di loro hanno cercato di trovare una soluzione senza mai arrendersi.




 il Cercatore di Senso

martedì 3 maggio 2022

riguardo alle Religioni da Aperitivo

Oggigiorno si assiste ad un sincretismo religioso forse solo comparabile a quello riscontrabile duemila anni fa presso l'impero romano.

Se tale fenomeno potrà pure entusiasmare editori e scrittori più o meno competenti in materia, chiaramente avrà un impatto diverso su coloro che si considerano ministri e interpreti ufficiali delle maggiori religioni, in primis di quelle monoteiste occidentali.

L'astio e il disgusto che un sacerdote cattolico, per esempio, può provare di fronte alle vetrine delle librerie imbandite di spiritualità da ogni dove è ben giustificabile nell'ottica di una teologia che ha una struttura, una logica e un credo ben definito. Non pare infatti ragionevole l'approccio di quei consumatori di religioni 4.0 che pendono dalle labbra di un santone indiano espatriato negli States mentre al contempo si lasciano ispirare da una figura come Madre Teresa di Calcutta.

Inulte dire che tale discrepanza non può che provocare l'ennesima frattura intergenerazionale, anche se a ben vedere, tale scontrò si verificò in maniera molto simile negli anni delle rivolte giovanili, anni nei quali non a caso vi furono numerose e importanti riforme anche in seno al mondo cristiano.

Ciò detto, chi ha ragione in tale disputa?

Come succede spesso in tali circostanze, nelle quali padri e figli si mettono gli uni contro gli altri, risulta difficile trovare una parte completamente nella ragione e al contempo quella opposta totalmente nel torto.

Sicuramente, quei teologi che vedono nel sincretismo superficialità e populismo religioso hanno ragioni da vendere. Infatti, l'equiparazione di figure vissute in tempi e luoghi molto distanti le une dalle altre è sempre una procedura suscettibile di errori, specialmente se i ricercatori non hanno competenze professionali in merito. Non è inoltre necessario essere complottisti per sospettare che molto sedicenti maestri siano solo approfittatori di tante anime sperdute e desiderose di un senso, pronte a spendere i propri soldi in libri, corsi e kit fai da te per trovare la felicità.

Al contempo però, quei preti che lanciano sentenze ed anatemi verso guru e saggi di altre tradizioni non solo non si rendono conto del profondo stato di crisi nel quale versano le religioni tradizionali, ma ancor più gravemente sono portatori di una pericolosa forma di arroganza nel momento in cui si ritengono gli unici uomini autorizzati a parlare di Dio, Gesù e in senso lato di spiritualità.

Quest'ultima forma di intolleranza pare ancora più ingiustificabile osservando l'evidenza che, anche solo rimanendo all'interno dei confini del mondo occidentale, fino a prima dell'ascesa del Cristianesimo era comune trovare scuole diverse che proponevano le loro morali e le relative vie di salvezza. Inoltre, e ciò è probabilmente il punto della questione attuale, bisogna riconoscere che la religione non è solo paradiso, saggi e regole, in quanto da sempre anche l'aspetto estetico ricopre una funzione fondamentale.

Religione è quindi rito, sensazione, emozione, simbolo e immagine e tutte queste caratteristiche sono ricercate, anche se forse inconsapevolmente, da coloro che spasmodicamente vanno alla ricerca di verità antiche e lontane. Sin da quando l'uomo era vagabondo nelle foreste non erano necessarie solo regole di convivenza bensì anche sensazioni concrete di protezione e sicurezza offerte da riti creduti ispirati dalle divinità.

Si potrebbe quindi affermare a ragione, almeno da un certo punto di vista, che l'uomo moderno, giovane e sempre legato all'evolvere del mondo e della tecnica, si senta attratto verso quelle tradizioni pagane che solo apparentemente possono essere considerate retaggi di un passato remoto completamente scollegato dalla concretezza del presente.

Inutile dire che le proprie inclinazioni filosofico-religiose non potranno che far pendere l'ago della bilancia a favore o a sfavore di tale mutamento della sensibilità spirituale che si sta constatando ma forse, prima di decretare il giusto e lo sbagliato, potrebbe essere utile meditare senza fretta sulla complessità di tale fenomeno culturale intimamente umano.


"la tesi di fondo è che la "dimensione religiosa" è un'esperienza estetica e che l'"organo di percezione" di quest'esperienza è il rito, il quale è, in prima istanza, un "linguaggio estetico" e non una dottrina speculativa. La "scienza liturgica" non può che essere, fondamentalmente, una teologia estetica e la "performance celebrativa" una vivente opera d'arte." (1)



il Cercatore di Senso

(1) dal sito del Monastero di Fudenji (https://www.fudenji.it/seminario_nstc.php)

martedì 22 febbraio 2022

l'eterno conflitto: il gene egoista

l'ego è il male?


Questo è un conflitto sia teorico che pratico che pesa sull'umanità sin da quando questa ha cominciato ad esercitare la facoltà del pensiero.

Con le moderne scoperte della biologia, della psicologia e delle altre discipline che cercano di approfondire l'uomo senza idee o ideologie preconcette si è diffusa l'opinione che l'egoismo è così tanto radicato in noi che pure i nostri geni non fanno altro che pensare a sé stessi.(1)

Addirittura si è arrivati a dire che l'altruismo e le relazioni familiari e affettive non sono altro che uno strumento trovato dall'evoluzione per permettere alla specie di perpetuarsi.

Inutile dire che tali teorie non possono che scandalizzare, specialmente chi crede fortemente che vi sia una contrapposizione tra bene e male ben definita e calata dall'alto. (2)

Eppure, anche ammettendo la fondatezza di queste presunte scoperte della scienza, rimangono valide le pretese di chi si orienta alla ricerca di una morale che possa dare un senso più ampio rispetto alla mera sopravvivenza biologica.

In fondo, l'errore fondamentale che sta alla base di questo presunto attacco da parte delle scienze alla filosofia e alla spiritualità è quella di confondere e a volte uguagliare le dicotomie egoismo/altruismo - bene/male.

Questa confusione è innanzitutto generata inconsapevolmente dalle stesse religioni che si sentono offese e attaccate dalle pretese della ricerca scientifica in quanto loro in primis compiono tale associazione piuttosto infelice e superficiale.

Per risolvere quindi questo pericoloso malinteso può essere utile soffermarsi sulle seguenti considerazioni:

  • Volontà di rifiutare l'egoismo: questo argomento dovrebbe essere quello più alla portata dei credenti. Infatti, sono loro i primi ad affermare che il male esista e che debba essere combattuto e rifiutato, almeno nel cuore e nelle intenzioni, da parte dell'uomo. Questo aspetto è invece spesso trascurato da parte proprio di quegli studiosi che vogliono andare oltre la semplice ricerca scientifica, sforando quindi nell'ambito filosofico. Infatti, la capacità umana di disgustarsi e rifiutare alcuni aspetti del proprio essere è una circostanza che rende unica la nostra esperienza sulla terra e che pertanto non deve essere presa alla leggera, soprattutto in quanto è un elemento importante di quella coscienza che ognuno di noi ha o dovrebbe avere dentro di sé.

  • Modalità con cui si concretizza l'egoismo: questo è invece un aspetto normalmente ignorato da chi ragiona su questo tipo di argomenti e che invece è forse quello decisivo. Se infatti ammettiamo che noi tutti siamo egoisti, ciò non significa nulla dal punto di vista della contrapposizione bene-male perché non stiamo definendo ciò che comporta eticamente l'essere egoisti. Basti pensare a questo esempio estremo: quell'individuo che prova piacere nel dolore altrui e si impegna per provocarlo è ben diverso da quello che compie buone azioni perché si sente bene nell'aiutare i suoi simili. Si può forse dire che entrambi siano egoisti perché soddisfano delle proprie esigenze psicologiche, ma uno lo è a discapito altrui, l'altro lo è a favore. È una differenza non di poco conto.

  • Livello di complessità dell'universo interiore: anche arrivando alla peggiore delle conclusioni, quella in cui si afferma che l'egoismo è la base del male, sarebbe bene comunque misurare quanto peso ha questo aspetto negativo all'interno della psiche dell'individuo. Se infatti ci si trova di fronte ad una persona focalizzata sul solo aspetto di un egoismo malevolo è chiaro che si è in presenza di una circostanza estrema, fortunatamente lontana dalla normalità. Se è vero che ognuno di noi ha i propri scheletri nell'armadio, è altrettanto vero che vi sono anche tanti altri abiti che arricchiscono il guardaroba e che permettono di mettere in secondo piano gli aspetti più negativi del proprio io. È la sempreverde regola dell'equilibrio: più siamo diversificati e più il peso di un singolo aspetto di noi si bilancia con gli altri.

Queste contro-argomentazioni vogliono essere un monito per chi, spaventato istintivamente da scoperte scientifiche particolarmente scomode, preferiscono rifugiarsi nel rifiuto invece che accettare il confronto, dimenticandosi in tal modo che spesso è possibile unire la mente al cuore, invece che dover scegliere uno piuttosto che l'altro.





il Cercatore di Senso

(1) Il gene egoista, Richard Dawkins
(2) https://www.uccronline.it/2012/10/29/i-lettori-de-lillusione-di-dio-di-dawkins-chi-si-converte-e-chi-si-suicida/

lunedì 24 gennaio 2022

il Caleidoscopio

Spesso la realtà è come un caleidoscopio, una ma con molte interpretazioni in base ai diversi punti di vista.

Si pensi alla sempreverde massima del cercare il bene nelle disgrazie. Questo obiettivo può accomunare persone e motivi molto diversi tra loro.

Per esempio, il cristiano vorrà vedere la provvidenza anche nelle notti più buie mentre il seguace dello yin e dello yang potrà ritenere che questa contrapposizione bene/male sia un dualismo solo apparente, in quanto nella realtà ultima, nel tutto, non vi sono tali distinzioni.

Infine, anche l'ateo potrà unirsi ai suoi compagni cercando gli aspetti positivi anche negli eventi più negativi perché in fondo sa che non ha nulla da perdere e anzi è consapevole che ogni occasione di felicità è unica e irripetibile.





il Cercatore di Senso