martedì 7 febbraio 2023

Jean-Paul Sartre: abbandono, disperazione, angoscia e malafede

Volendo proseguire con l'analisi della posizione filosofica di Jean-Paul Sartre, si arriva a toccare quelle parole da lui stesso definite "un poco magniloquenti" (1), ossia:

angoscia, malafede, abbandono e disperazione

In questo articolo si vorrà quindi seguire il percorso argomentativo con cui Sartre lega questi concetti, ritenuti da lui essenziali per comprendere la visione esistenzialistica dell'uomo.

In l'esistenzialismo è un umanismo Sartre afferma:

"l'esistenzialista dichiara volentieri che l'uomo è angoscia.

Questo significa: l'uomo che assume un impegno ed è consapevole di essere non soltanto colui che sceglie di essere, ma anche un legislatore che sceglie, nello stesso tempo, e per sé e per l'intera umanità, non può sfuggire al sentimento della propria completa e profonda responsabilità." (2)

Questa tesi deriva dalla constatazione che, a detta di Sartre, tutte le scelte umane, da quelle più pubbliche come l'adesione ad un sindacato a quelle più intime come lo sposarsi, abbiano due anime: una più palpabile riguardante direttamente la vita della persona che ha compiuto la decisione ed un'altra che rimane invece di sottofondo comprendendo l'intera rete di relazioni e conseguenze che ogni scelta necessariamente porta con sé.

Per fare un esempio, scegliendo di aderire ad un determinato credo religioso si sta implicitamente intendendo che tutti dovrebbero effettuare la stessa scelta in quanto normalmente i valori di tipo metafisico si ritiene siano validi per l'umanità intera e non solo per una persona in particolare. Da notare che perché questo sia vero non sia necessario che chi ha compiuto questa scelta si prodighi nel cercare di convertire gli altri, bensì è una conseguenza automatica che deriva dall'aver fatto proprio, nell'interiorità della propria coscienza, un credo e una religione piuttosto che un'altra.

Alan Turing, matematico e pioniere dell'informatica, scrisse:

"Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l'uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza." (3)

Pur vedendo la questione da un punto di vista prettamente fisico e matematico, il senso di questa frase appare simile alla visione esistenzialista Sartriana. Certo, vi è una differenza sostanziale considerando che Sartre parla di scelte umane, quindi di libertà, mentre Turing perlopiù di principi e fenomeni naturali. Questo però non dovrebbe trarre in inganno perché in questo caso, ciò che conta non è tanto la causa dell'effetto osservato (scelta umana o variabile naturale) bensì la serie di conseguenze, potenziali o effettive, che tale causa porterà con sé.

La situazione descritta da Turing è conosciuto dai più come c.d. effetto farfalla, dal titolo di una conferenza tenuta dal matematico e meteorologo Edward Lorenz:

"Può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?"(4)

Pur notando l'affinità dei concetti appena esposti, non bisogna dimenticare però la portata che l'affermazione di Sartre vuole avere. Se infatti Turing e Lorenz si concentrano perlopiù sull'aspetto empirico delle conseguenze a lungo termine di eventi naturali, Sartre pone invece la questione su un piano universale, nel quale il centro non è una variabile tra le tante, bensì la Variabile con la V maiuscola, ossia l'uomo e le sue scelte, quindi la volontà e la libertà su cui l'agire umano poggia inevitabilmente.

È quindi possibile comprendere quanto greve sia l'angoscia che Sartre imputa all'umano agire. Se da un lato, libertà significa dignità per l'uomo, dall'altro significa che ogni scelta comporta una sorta di violenza sul mondo intero, perché scegliendo per sé non si può che scegliere anche per tutti.

Ciò porta poi a delineare il concetto di malafede, ossia quella particolare forma di menzogna che Sartre enuncia per distinguerla dalla mera truffa, ossia da quei casi in cui una persona mente deliberatamente ad un'altra con lo scopo di ottenere un vantaggio personale. Malafede è invece quando si mente a sé stessi, quindi quando la coscienza, come in un momento di poca lucidità, riesce ad auto-ingannarsi.

"Certo, molti uomini non sono angosciati, ma noi affermiamo che essi celano a sé stessi la propria angoscia, che la fuggono; certo, molti uomini credono, quando agiscono, di non impegnare che sé stessi e, quando si dice loro: "Ma se tutti facessero così?", alzano le spalle e rispondono: "Non tutti fanno così". Ma, in verità, ci si deve sempre chiedere: che cosa accadrebbe se tutti facessero altrettanto? E non si sfugge a questo pensiero inquietante che con una specie di malafede." (5)

In questo senso, Sartre delinea un concetto di malafede che richiama quello poi sostenuto successivamente da Hannah Arendt nel suo la banalità del male. In questo celebre saggio, si mette in luce come spesso, alla base dei più orrendi crimini commessi dall'umanità, vi sia una serie di piccole scelte compiute senza consapevolezza delle conseguenze che si sono prodotte, piuttosto che un'indole dualisticamente "cattiva".

Ecco che allora, se da un lato scelta significa angoscia, dall'altro significa responsabilità. infatti:

"È questa specie di angoscia che viene messa in luce dall'esistenzialismo; vedremo che si manifesta inoltre come responsabilità diretta di fronte agli altri uomini che coinvolge. Non è una cortina che ci divida dall'azione, ma fa parte dell'azione stessa." (6)

Se la responsabilità può essere considerata la logica conseguenza del libero arbitrio e l'angoscia come intrinseca alla scelta, non è invece così scontato il collegamento con il senso di abbandono che Sartre più volte menziona. Un cristiano, ad esempio, potrebbe essere portato ad associare la responsabilità al progetto che Dio ha per ognuno ma ecco che allora qui interviene l'ateismo di Sartre, che per lui è scontato dopo le riflessioni di Nietzsche:

"E quando si parla di abbandono, espressione cara ad Heidegger, intendiamo soltanto che Dio non esiste e che bisogna trarne le conseguenze fino in fondo." (7)

Questa convinzione porta poi un'ulteriore peso, come se non bastasse, in quanto l'esistenzialismo ateo di Sartre non condivide quell'idea comune allora come ora che Dio sia una mera e inutile reminiscenza di un passato ancestrale. Crede, al contrario, che con l'assenza dell'Essere perfetto e di conseguenza della valenza del primato dell'esistenza sull'essenza, venga meno il fulcro sul quale basare la leva dell'etica e della morale:

"l'esistenzialista al contrario pensa che è molto scomodo che Dio non esista, poiché con Dio svanisce ogni possibilità di ritrovare dei valori in un cielo intelligibile. [...] Dostoevskij ha scritto: Se Dio non esiste tutto è permesso. Ecco il punto di partenza dell'esistenzialismo. Effettivamente tutto è lecito se Dio non esiste, e di conseguenza l'uomo è abbandonato perché non trova, né in sé né fuori di sé, possibilità d'ancorarsi. E anzitutto non trova delle scuse. Se davvero l'esistenza precede l'essenza non si potrà mai fornire spiegazioni riferendosi ad una natura umana data e fissata; in altri termini non vi è determinismo: l'uomo è libero, l'uomo è libertà" (8)


Se libertà ha una connotazione normalmente positiva per il senso comune, non lo ha in Sartre, perché questi è consapevole che una libertà senza né guida, né meta e in generale senza fondamento, non può che generare il senso di abbandono prima analizzato e la disperazione che ne consegue:

"Quanto alla disperazione, questa parola ha un senso estremamente semplice. Essa vuol dire che noi ci limiteremo a far assegnamento su ciò che dipende dalla nostra volontà o sull'insieme delle probabilità che rendono la nostra azione possibile." (9)

Ma dato che la volontà viene dopo il mondo e non prima, significa implicitamente che la volontà è determinata totalmente dal singolo uomo a cui appartiene.

Arrivati a questo punto non sembra quindi esserci possibilità di ottimismo o redenzione alcuna, ma non bisogna mai dimenticare ciò a cui Sartre vuole giungere con queste sue riflessioni:

"Un uomo s'impegna nella propria vita, disegna il proprio volto e, fuori di questo volto, non c'è niente. Evidentemente questa idea può parere dura a qualcuno che non è riuscito nella vita. Ma, d'altra parte, essa dispone gli animi a comprendere che soltanto la realtà vale. [...]" (10)

Sartre non vuole quindi gettare nello sconforto, bensì richiamare alla realtà e alla consapevolezza, tantoché lui stesso respinge le accuse di pessimismo, preferendo definire l'esistenzialismo come "rigore ottimista", quindi un ottimismo esigente perché non concede alcuna scusa all'uomo:

"Così abbiamo risposto, credo, ad alcuni rimproveri riguardanti l'esistenzialismo. Appare chiaro che non lo si può considerare come una filosofia del quietismo, dato che definisce l'uomo in base all'azione, né come una descrizione pessimista dell'uomo: non c'è anzi dottrina più ottimista, perché il destino dell'uomo è nell'uomo stesso; né come un tentativo di scoraggiare l'uomo distogliendo dall'operare, perché l'esistenzialismo gli dice che non si può riporre speranza se non nell'agire e che la sola cosa che consente all'uomo di vivere è l'azione. Di conseguenza, su questo piano, noi abbiamo a che fare con una morale dell'azione e dell'impegno." (11)


il Cercatore di Senso

(1) L'esistenzialismo è un umanismo (Mursia 1978), pag. 33, Jean-Paul Sartre
(2) L'esistenzialismo è un umanismo (Mursia 1978), pag. 33-34, Jean-Paul Sartre
(3) Macchine calcolatrici e intelligenza (1950), Alan Turing
(4) Conferenza The Butterfly effect, (1972), Edward Norton Lorenz
(5) L'esistenzialismo è un umanismo (Mursia 1978), pag. 34, Jean-Paul Sartre
(6) L'esistenzialismo è un umanismo (Mursia 1978), pag. 38, Jean-Paul Sartre
(7) L'esistenzialismo è un umanismo (Mursia 1978), pag. 38, Jean-Paul Sartre
(8) L'esistenzialismo è un umanismo (Mursia 1978), pag. 40-41, Jean-Paul Sartre
(9) L'esistenzialismo è un umanismo (Mursia 1978), pag. 50-51, Jean-Paul Sartre
(10) L'esistenzialismo è un umanismo (Mursia 1978), pag. 56-57, Jean-Paul Sartre
(11) L'esistenzialismo è un umanismo (Mursia 1978), pag. 60, Jean-Paul Sartre