sabato 14 novembre 2020

Teomisoginia

Una delle questioni filosofiche e teologiche più scomode per i monoteismi, specialmente quelli di stampo abramitico (ebraismo, cristianesimo e islam per intenderci), rimane tuttora il perché e il percome esista la donna. Siamo ancora costretti a pronunciarci, prendendo parte in una discussione che almeno sul piano della legge civile non dovrebbe più esistere. Se infatti il pensiero è libero, non lo è altrettanto l'incitamento alla violenza e alla repressione di genere. 

Andrò quindi a riflettere su un celebre passaggio di Tommaso d'Acquino, utilizzato spesso dai critici della religione Cattolica per sostenere come le radici di questa siano profondamente misogine. Non pretendo di poter effettuare un'analisi approfondita, non ne ho né le competenze né il tempo; mi limiterò pertanto a ragionare su ciò che è stato scritto di proprio pugno dal teologo in questione. 
Già a questo punto gli strenui difensori della Fede potrebbero cercare di porre in dubbio la legittimità di questo approccio utilizzando una delle più comuni fallacie logiche utilizzabili, conosciuta come Ad Hominem. Questa consiste nel controbattere la tesi avversaria non con un argomento di segno opposto, bensì con il denigramento dell'avversario stesso. Per esempio, si potrebbe addurre che chi non ha studiato in seminario non abbia il diritto di parlare di religione. Ebbene, questo atteggiamento è fortemente criticabile da un triplice punto di vista:
  • se un teologo vuole intervenire nel dibattito pubblico ha il dovere di adeguare il proprio linguaggio a quello degli avversari. Se non ne è capace allora non ci sono le condizioni per un dialogo costruttivo.
  • in una dialettica razionale bisogna concentrarsi sugli argomenti e non sugli argomentatori. Se è un'opinione è espressa in maniera intelligibile si ha il dovere di prenderla sul serio, indipendentemente dalle caratteristiche dell'interlocutore.
  • specularmente al punto precedente, bisogna stare attenti a non prendere troppo sul serio la propria figura. Se si pensa di avere ragione perché si sa usare un linguaggio ricercato, ricco di latinismi e riferimenti a scritti di altri autori, significa che non si hanno compreso le basi del dialogo socratico. Questo si basa infatti sulla continua tensione alla verità, applicata tramite un discorso intellettualmente onesto e pertinente all'oggetto di discussione. Tutta la cultura di questo mondo a nulla serve se invece che aiutare a focalizzarsi sul punto della questione, ubriaca la discussione ampliandola a dismisura, facendola così deviare dall'essenziale. Si ha quindi il dovere di ragionare, tutto il resto può aiutare ma non deve prendere il sopravvento. 
fatta questa premessa, riporto il passo acquiniano che andrò ad analizzare sommariamente:
"Era necessario che in aiuto dell’uomo, come dice la Scrittura, fosse creata la donna: e questo, non perché gli fosse di aiuto in qualche altra funzione, come dissero alcuni, poiché per qualsiasi altra funzione l’uomo può essere aiutato meglio da un altro uomo che dalla donna, ma per cooperare alla generazione. Vi sono infatti dei viventi, che non hanno in se stessi la virtù attiva di generare, ma sono generati da un agente di specie diversa; e sono quei vegetali e quegli animali, che, privi di seme, vengono generati, in una materia adatta, dalla sola virtù attiva dei corpi celesti. – Altri invece possiedono unitamente la virtù attiva e quella passiva della generazione, e sono le piante che nascono dal seme. 
Infatti nelle piante non c’è funzione vitale più nobile della generazione: perciò è giusto che la virtù attiva della generazione si trovi in esse sempre unita a quella passiva. – Invece negli animali perfetti la virtù attiva della generazione è riservata al sesso maschile, e la virtù passiva, al sesso femminile. E siccome gli animali hanno delle funzioni vitali più nobili della generazione, negli animali superiori il sesso maschile non è sempre unito a quello femminile, ma solo nel momento del coito; come per indicare che il maschio e la femmina raggiungono nel coito quella unità che nella pianta è perpetua per la fusione dell’elemento maschile con quello femminile, sebbene nelle varie specie prevalga ora l’uno ora l’altro. – L’essere umano poi è ordinato a una funzione vitale ancora più nobile, cioè all’intellezione. A maggior ragione dunque si imponeva per lui la distinzione delle due virtù, mediante la produzione separata dell’uomo e della donna, i quali tuttavia si sarebbero uniti nell’atto della generazione. Per questo, dopo la creazione della donna, la Scrittura aggiunge: “Saranno due in una sola carne”.
 Rispetto alla natura particolare la femmina è un essere difettoso e manchevole. Infatti la virtù attiva racchiusa nel seme del maschio tende a produrre un essere perfetto, simile a sé, di sesso maschile. Il fatto che ne derivi una femmina può dipendere dalla debolezza della virtù attiva, o da una indisposizione della materia, o da una trasmutazione causata dal di fuori, p. es., dai venti australi che sono umidi, come dice il Filosofo. Rispetto invece alla natura nella sua universalità, la femmina non è un essere mancato, ma è espressamente voluto in ordine alla generazione. Ora, l’ordinamento della natura nella sua universalità dipende da Dio, il quale è l’autore universale della natura. Perciò nel creare la natura egli produsse non solo il maschio, ma anche la femmina." (1)

Il passo citato è stato estrapolato dal seguente articolo: https://www.uccronline.it/2013/01/13/il-falso-pensiero-attribuito-a-tommaso-daquino/, nel quale l'autore con i salti mortali tipici dell'apologeta cristiano cerca di difendere Tommaso, e di conseguenza la C.C. nel suo insieme, dalle accuse di misoginia. Io ho poi provveduto a barrare una parte del testo così da porre in evidenza l'essenza del pensiero acquiniano in merito. Proviamo a leggere solo le parti lasciate visibili: 

"Era necessario che in aiuto dell’uomo, come dice la Scrittura, fosse creata la donna: e questo, non perché gli fosse di aiuto in qualche altra funzione, come dissero alcuni, poiché per qualsiasi altra funzione l’uomo può essere aiutato meglio da un altro uomo che dalla donna, ma per cooperare alla generazione[...] la femmina non è un essere mancato, ma è espressamente voluto in ordine alla generazione. Ora, l’ordinamento della natura nella sua universalità dipende da Dio, il quale è l’autore universale della natura. Perciò nel creare la natura egli produsse non solo il maschio, ma anche la femmina."

Cosa si può constatare da questo breve ritaglio? Che di elementi per accusare di misoginia il pensiero di Tommaso ve ne sono a sufficienza. Il suo pensiero è infatti chiarissimo; afferma che la donna è stata creata da Dio per garantire la prosecuzione della specie. Nessuna lode alle caratteristiche femminili, nessuna riflessione che porti a superare il vincolo sessuale che impedisce di vedere la donna innanzitutto come persona, esattamente come l'uomo, e solo secondariamente come femmina. Nessuna traccia di affetto, né di amicizia, solo generazione. Inutile fare notare che affermare che la procreazione sia lo scopo principale della donna, se non addirittura l'unico, sia esageratamente sessista. Come se non bastasse, si afferma pure che in una qualunque funzione l'uomo riesce meglio della donna. 
Leggendo queste frasi risulta davvero difficile capire come il cattolico femminista di turno possa difendere l'Acquino in una qualsivoglia maniera, se non ovviamente tramite l'arrampicamento estremo sugli specchi, sempre possibile al fedele difensore della dottrina.

Ora veniamo alla parte precedentemente ignorata:
"[...] Vi sono infatti dei viventi, che non hanno in se stessi la virtù attiva di generare, ma sono generati da un agente di specie diversa; e sono quei vegetali e quegli animali, che, privi di seme, vengono generati, in una materia adatta, dalla sola virtù attiva dei corpi celesti. – Altri invece possiedono unitamente la virtù attiva e quella passiva della generazione, e sono le piante che nascono dal seme. 
Infatti nelle piante non c’è funzione vitale più nobile della generazione: perciò è giusto che la virtù attiva della generazione si trovi in esse sempre unita a quella passiva. – Invece negli animali perfetti la virtù attiva della generazione è riservata al sesso maschile, e la virtù passiva, al sesso femminile. E siccome gli animali hanno delle funzioni vitali più nobili della generazione, negli animali superiori il sesso maschile non è sempre unito a quello femminile, ma solo nel momento del coito; come per indicare che il maschio e la femmina raggiungono nel coito quella unità che nella pianta è perpetua per la fusione dell’elemento maschile con quello femminile, sebbene nelle varie specie prevalga ora l’uno ora l’altro. – L’essere umano poi è ordinato a una funzione vitale ancora più nobile, cioè all’intellezione. A maggior ragione dunque si imponeva per lui la distinzione delle due virtù, mediante la produzione separata dell’uomo e della donna, i quali tuttavia si sarebbero uniti nell’atto della generazione. Per questo, dopo la creazione della donna, la Scrittura aggiunge: “Saranno due in una sola carne”.
Rispetto alla natura particolare la femmina è un essere difettoso e manchevole. Infatti la virtù attiva racchiusa nel seme del maschio tende a produrre un essere perfetto, simile a sé, di sesso maschile. Il fatto che ne derivi una femmina può dipendere dalla debolezza della virtù attiva, o da una indisposizione della materia, o da una trasmutazione causata dal di fuori, p. es., dai venti australi che sono umidi, come dice il Filosofo. Rispetto invece alla natura nella sua universalità [...]"
Come si può evincere dalla lettura attenta del presente passaggio, si può constatare che questo consiste sostanzialmente in un'interpretazione teologica degli argomenti "scientifici" aristotelici. Il virgolettato è per ricordare come il pensiero pre-galileano non possa essere considerato scientifico a tutti gli effetti, almeno non per come oggi lo si definisce. Questa confusione è ovviamente cara all'apologia cattolica, in quanto viene regolarmente sfruttata per screditare le pretese scientifiche del mondo moderno. Il ragionamento è di questo tenore "se la scienza di mille anni fa era approssimativa ed è stata confutata da quella seguente, allora succederà lo stesso anche a quella odierna. Quindi l'importante è conservare la Fede, confidando che il sapere degli uomini tornerà alla polvere prima o poi". Quel che questo pensiero non coglie è che la scienza moderna, non solo è ben conscia di poter essere contraddetta da future scoperte, ma soprattutto sa che l'esperimento è ciò che la contraddistingue dall'antica episteme greca. Non un qualunque ragionamento razionale è scienza, solo quello supportato da evidenze sperimentali, tutto il resto è filosofia. 
Andando oltre a questo sempre pertinente inciso, Non posso far altro che notare che il pensiero di Tommaso non solo non sembra argomentare in maniera convincente in favore della "giustezza teologica" della riproduzione sessuata, ma pare pure contraddirsi. Infatti sembra prima sostenere la necessità che la procreazione debba avvenire grazie alla dualità maschio/femmina, per poi affermare che anche a livello biologico (oltre che ontologico) la femmina sia un errore di natura. Vero che l'ultimo paragrafo è attribuibile indirettamente ad Aristotele stesso (nel paragrafo è citato come Il Filosofo) ma ciononostante sembra venire ripreso a piene mani da Tommaso. Ora, non sono in grado di affermare ciò con certezza, potrebbe infatti esserci un passaggio contrario a questa conclusione nella summa teologica, ma rimane il fatto che affermare che all'interno della dottrina cattolica esista uno substrato misogino è assolutamente legittimo. 


il Cercatore di Senso

riferimenti:
(1) Summa teologica, Tommaso d'Acquino.